8 settembre 1943. Osimani davanti alla scelta

Sappiamo quanto duro sia stato quell'8 settembre 1943. Mentre ad Osimo la notizia venne accolta con gioia tanto che le forze dell'ordine furono costrette a calmare con la forza gli animi entisiasti in piazza, ad altri osimani s'imponeva "la scelta": in patria come all'estero, proprio quell'8 settembre. In Jogoslavia come in Grecia, in Slovenia come in Italia, Amedeo Serloni, Bruno Liberti, Gino Marini, Ermanno Badialetti, Ivo Sanseverinati, Leopardo Pierantoni, Giuseppe Massaccesi e molti ancora ne fecero una impegnativa e, per alcuni di loro, finale. Qualcuno quella scelta l'aveva già fatta da tempo come: Quinto Luna, Marino Verdolini, Mario Pasqualini, G.Battista Cecconi e quelli che riuscirono a tradurre il loro pensiero in azione. Questi proseguirono e materializzarono il sogno dei loro compagni come Renato B. Fabrizi e degli altri perseguitati politici. Altri ancora, sbandati senza una guida, senza una luce, trovarono lo stesso la loro croce nella deportazione, nella sofferenza spesso la fine. Gli ultimi fecero una scelta sbagliata. Questo in uno stato che si era eclissato. Traduciamo quanto sopra in documenti e video ripubblicando l'intervista video a Nello Terrè sul fratello Silvio sull'homepage del sito (sibillaonlinetv) e la lettera con la quale un commilitone di Ermanno Badialetti narra i fatti di Cefalonia e la fine dello stesso ai congiunti.  Pubblichiamo inoltre, sempre nel nel 70° di quell'8 settembre, il discorso che il gen. Massimo Coltrinari fece pervenire tramite l' ANPI di Osimo, il'1 luglio 2011, per salutare il ritorno a Osimo dei resti mortali di Giulio Marchetti bersagliere morto a Berlino nel 1944. 

 
Badialetti  

 

                

Un passaporto interno di un prigioniero italiano di Osimo detenuto nei campi di lavoro nelle campagne tedesche: il frontespizio e due delle pagine interne. Sul documento é riportata la data del 1946 come data per il rinnovo.

 

Intervento del Generale di Divisione dell’ Esercito Italiano Massimo Coltrinari in occasione della tumulazione del milite bersagliere Giulio Marchetti caduto in Berlino1944. 

La crisi armistiziale del settembre 1943 ha messo gli italiani di fronte a se stessi.

Dopo un ventennio di dittatura voluta dalle classi dominanti per mantenere i loro privilegi e per non attuare quelle riforme sociali promesse durante i giorni tremendi della prima guerra mondiale all’indomani di Caporetto, ed una guerra durata 39 mesi voluta dal regime fascista in cui non si erano ben definiti gli obiettivi strategici e soprattutto non si avevano dottrine, mezzi, materiali per affrontarla, l’8 settembre 1943 tutti i nodi vennero al pettine.

Travolta dai suoi stessi errori, la Monarchia, complice del fascismo, non trovò di meglio che fuggire da Roma, mettersi al sicuro dietro lo scudo alleato, e lasciare gli italiani senza guida, sena protezione, senza legge, alla merce del nostro nemico ereditario, che si presentava sotto le vesti, questa volta, del nazista espressione di quel regime del genocidio che ha segnato di sangue il secolo breve.

I grandi drammi politico- sociali non possono che riverberarsi sulla vita di ogni uomo e donna. E la generazione, nata sotto il fascismo, ma per la gran parte non contaminata da esso, si trovò di fronte a se stessa: come tutti gli italiani si dovette scegliere sull’onda degli avvenimenti.

Per molti soldati non ci fu nemmeno questo.

Sorpresi dall’iniziativa tedesca, che già all’indomani del 25 luglio aveva predisposto piani ed azioni per ridurre l’Italia in schiavitù, appena fu proclamato l’armistizio, la furia teutonica si abbatté sull’Italia e sugli Italiani.

Soprattutto sui militari.

Questi, lasciati senza ordini, non ebbero la possibilità di difendersi e furono tutti catturati ed inviati in Germania, come lavoratori schiavi, senza alcuna protezione giuridica, nemmeno riconosciuto lo status di prigionieri di guerra.

Erano considerati poco al di sopra degli Ebrei, destinati allo sterminio, ed ai prigionieri dell’Unione Sovietica, che non godevano delle protezioni del Diritto Internazionale.

Furono 600.000 i soldati che ebbero questa sorte, la sorte di Giulio Marchetti, che qui ritroviamo, che qui salutiamo orgogliosi. Una sorte, però, che nella tragedia, come tutto quello che riguarda la guerra di Liberazione, si trasformò in epopea, in forza morale ed esempio.

In seicentomila, ebbero il coraggio morale e civile di rifiutare ogni proposta accomodante e dei nazisti formulata attraverso i collaboratori della Repubblica di Salò.

Fu un no generalizzato, detto e mantenuto da una generazione che il fascismo aveva cresciuto ed allevato.

Un no che fu di fatto, anche agli occhi dei tedeschi, la delegittimazione della Repubblica Sociale Italia.

E’ quel fronte della resistenza, il fronte della resistenza del filo spinato, che è una delle pagine più esaltanti della nostra storia recente e che rappresenta uno dei fondamenti della

Nostra repubblica.

Roma, addì 1 luglio 2011

                                                                                                                     Il Generale di Divisione

                                                                                                                       Massimo Coltrinari

 

Messaggio pervenuto tramite la Presidenza della sezione ANPI di Osimo e letto al momento della tumulazione presso il Cimitero vecchio di Osimo.

 

 

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